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Pomeriggio libero  

scritto da Ars Tecnica in

Il ragazzo avanzava quanto più spedito poteva, nella sua divisa da poliziotto, cercando di non dare troppo nell’occhio e di fare in modo di non perdere il treno delle due. Aveva viaggiato per tutta la notte in un puzzolente vagone in compagnia di molte altre persone dei ceti sociali più infimi, che lo avevano evitato per tutto il tempo, quasi fosse un lebbroso.
Con quel vestito addosso e quei ceffi nella carrozza non si era fidato a cedere alle lusinghe di Morfeo e non aveva chiuso occhio per un solo attimo.
Ora ne stava pagando le conseguenze, sbadigliando visibilmente e di continuo.
Secondo le indicazioni ricevute l’uomo che cercava doveva abitare nelle vicinanze, in una delle strade laterali al parco pubblico.

L’aria della mattina era frizzante e il sole ancora basso filtrava e tagliava di netto le ombre degli alti edifici della Grande Mela. A Mickey quella luce e quell’aria piacevano molto. Quello era il suo periodo dell’anno preferito, non troppo freddo né troppo caldo, con le giornate che andavano via via allungandosi.
Le grandi città al contrario non le sopportava. Gente mai vista ad ogni angolo, miglia e miglia di cemento in ogni direzione, accattoni, rapinatori, carcasse di cavalli morti abbandonate nei vicoli… se avesse potuto, a quell’ora si sarebbe trovato a passeggiare nel porto assieme a Charlie Fry, parlando delle cameriere del Boulevard e facendo sloggiare a calci qualche ubriaco dalla via del mercato.
Il capo però gli aveva tirato quel brutto scherzo: “Mickey, ho un lavoretto per te… una cosa facile facile… da cinque minuti.”, aveva detto.
Mickey aveva sentito subito puzza di fregatura, ma accettò mestamente, forse per la fiducia assoluta che riponeva nel boss oppure per la sincera convinzione che non poteva comportarsi altrimenti.
“Dunque, mi devi fare una consegna, ma non dirlo agli altri… stai attento al proprietario del nome scritto sulla busta, è un tipo un po’ sui generis e piuttosto violento… insomma, bisogna saperlo prendere.”
“Sissignore. Mi domandavo però se una volta concluso il lavoretto potessi avere il pomeriggio libero. Sa, avevo pensato di passare a prendere…”
“Ma certo!” lo interruppe quello quasi divertito “Sbriga ciò che devi e poi sarai libero fino a dopodomani!”.
Peccato che per quel lavoretto aveva dovuto compiere un ‘viaggetto’ di oltre 340 miglia durato un’intera notte, e poi c’era il ritorno…
Se tutto fosse andato bene forse avrebbe fatto in tempo a dormire di gusto fino alla mattina seguente e, ovviamente, ciò implicava che non vi sarebbe stata nessuna serata al cinematografo.
Sempre ammesso che l’amico del capo non gli bucasse la pancia prima di mezzogiorno.
Le scarpe tirate a lucido imboccarono la West Road con un’andatura piuttosto incerta e si arrestarono davanti ai gradini che portavano al numero 39.
L’edificio di due piani era decisamente modesto, ma di fronte vi era parcheggiata una lussuosa Crysler che autorizzava alcuni dubbi sul tipo di attività svolte dal proprietario.
Dal primo piano giungeva il suono gracchiante di un grammofono.
Bussò una prima volta, piuttosto timidamente, senza ricevere risposta.
Attese qualche istante e non avvertendo alcun movimento giungere dall’interno, bussò con più decisione una seconda ed una terza volta.
“Chi è?” chiese una voce tra il sonno e l’ira.
“Polizia! Una notifica per il Signor Desede!”
La porta si aprì di scatto e per una sola quindicina di centimetri, dietro emerse la figura di un uomo scalzo, in mutande e canottiera. I capelli rasati quasi a zero, la barba di una settimana, con due occhiaie scure e gli occhi rossi a causa della rottura di alcuni capillari.
Mickey cercava di capire se il suo interlocutore fosse pieno di alcool, oppio o entrambe le sostanze.
“Avvicinati alla porta e mostrami il distintivo.” disse con una voce impastata l’uomo, che aveva preso a guardare oltre le spalle del suo interlocutore cercando chissà cosa.
“Non sei un po’ lontano da Salem figliolo?” fece armando il cane della Colt con i due mustang incisi sul manico che teneva nascosta dietro la schiena.
“Avrei una lettera del Commissario McMannus…”
Dankan aprì la porta, strappò dalle mani del poliziotto la busta, sbattè la porta e chiuse a chiave.
“Buona giornata anche a lei…” disse Mickey, pensando che forse sarebbe riuscito a prendere il treno delle due.

Caro “collega” Dankan, mi spiace dovermi fare vivo solamente ora, dopo tutti questi anni… tu come stai? Ho saputo dei tragici avvenimenti di Annisquam e del terribile destino che è toccato ai tuoi amici. Non credo ci possano essere parole adatte a consolarti e poi, lo sai bene, io non sono mai stato un gran oratore.
Purtroppo nelle ultime settimane qui a Salem sono stati compiuti terrificanti omicidi (proprio ora che mancano pochi mesi perché finalmente io vada in pensione).
Al di fuori degli agenti del distretto non lo sa nessuno ma noi pensiamo di aver a che fare con delitti compiuti da un pazzo maniaco omicida.
La violenza e l’accanimento sui corpi delle vittime (tutti cittadini rispettabilissimi) ha qualcosa di bestiale, e la cosa più terribile è che i poveretti sembrano essere scelti a caso.
Ho disperatamente bisogno del parere di qualcuno di veramente in gamba in fatto di investigazioni e che non si occupi solamente di scippi o furti di bestiame… ti aspetto.
Sinceramente tuo, Emilius McMannus.

L’ex parapsicologo, appoggiato con la schiena contro la porta, si lasciò scivolare lentamente fino a sedersi sul pavimento, rimise l’assicura e respirò a fondo. Rimase in silenzio per qualche minuto, provando un leggero senso di sollievo per non essere stato arrestato per l’omicidio colposo plurimo di Annisquam.
Da quando era stato dichiarato sano aveva ripreso ad abitare nella casa che per anni aveva condiviso con Brian: ora la sua stanza era occupata dal cugino di New Orleans, un investigatore privato specializzato in liti e problemi matrimoniali e con la passione delle auto costose.
Il grammofono ora taceva.
“Robert! Prepara le valigie, andiamo a dare una mano ad un vecchio filibustiere!” gridò rialzandosi.
“Bene. Dove si va?” fece una voce dal piano superiore.
“A Salem.”
“A Salem?!”

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